mercoledì 20 aprile 2011

COMITATO  di  QUARTIERE  LEVATA

Circolo di Lettura                                                                              Università del Tempo Libero




Gentili lettori, lunedì 18 aprile si è riunito il “Circolo dei Lettori” per il tredicesimo incontro.
Abbiamo commentato i libri: “Le confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo e “E disse” di Erri De Luca. 


Alla fine si è convenuto di indicare il libro da leggere per il prossimo incontro. Come sempre nei nostri incontri,
chi avrà letto i libri ne potrà parlare insieme agli altri, chi non li avesse ancora letti potrà ascoltare i commenti
alle storie, allo stile, alla trama e capire se vale la pena leggerli. In ogni caso sarà un momento di socializzazione
dove poter fermarsi a riflettere e discutere su rilevanti temi prendendo proprio spunto dai libri proposti.

Prossimo incontro :  Lunedì 16 maggio alle ore 21,00   nella Sala Civica di Levata.

Il libro indicato da leggere è:" La città della luce tranquilla” di Bo Caldwell”

 Per chi non possedesse il libro, informiamo che questo libro è stato richiesto in prestito presso le Biblioteche Comunali
del Sistema Bibliotecario Provinciale che però dispongono di un numero limitatissimo di copie di questo titolo.
Vorrà dire che gli amici lettori che possiedono il libro favoriranno il prestito personale a chi non l’ha.
Ricordiamo qui orari e giorni di apertura della nostra Biblioteca di Levata,
 in Sala Civica: Lunedì, Mercoledì, Venerdì (dalle ore 16,00 alle 17,30).
Prendiamo l’occasione per augurare a tutti  Buona Pasqua!.


COMITATO  di  QUARTIERE  LEVATA

Circolo di LetturaUniversità del Tempo Libero



Gentili lettori, lunedì 18 aprile si è riunito il “Circolo dei Lettori” per il tredicesimo incontro.
Abbiamo commentato i libri: “Le confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo e “E disse” di Erri De Luca. 


Alla fine si è convenuto di indicare il libro da leggere per il prossimo incontro. Come sempre nei nostri incontri,
chi avrà letto i libri ne potrà parlare insieme agli altri, chi non li avesse ancora letti potrà ascoltare i commenti
alle storie, allo stile, alla trama e capire se vale la pena leggerli. In ogni caso sarà un momento di socializzazione
dove poter fermarsi a riflettere e discutere su rilevanti temi prendendo proprio spunto dai libri proposti.

Prossimo incontro :  Lunedì 16 maggio alle ore 21,00   nella Sala Civica di Levata.

Il libro indicato da leggere è:" La città della luce tranquilla” di Bo Caldwell”

 Per chi non possedesse il libro, informiamo che questo libro è stato richiesto in prestito presso le Biblioteche Comunali
del Sistema Bibliotecario Provinciale che però dispongono di un numero limitatissimo di copie di questo titolo.
Vorrà dire che gli amici lettori che possiedono il libro favoriranno il prestito personale a chi non l’ha.
Ricordiamo qui orari e giorni di apertura della nostra Biblioteca di Levata, in Sala Civica: Lunedì, Mercoledì, Venerdì (dalle ore 16,00 alle 17,30).
Prendiamo l’occasione per augurare a tutti  Buona Pasqua!.


domenica 23 gennaio 2011

Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.

Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.



Il gabbiano Jonathan Livingston (Jonathan Livingston Seagull, 1973) è un celebre romanzo breve di Richard Bach.

Il gabbiano Jonathan Livingston (Jonathan Livingston Seagull, 1973) è un celebre romanzo breve di Richard Bach. Best seller in molti paesi del mondo negli anni settanta, è diventato per molti un vero e proprio cult, Jonathan Livingston è essenzialmente una fiaba a contenuto morale e spirituale. La metafora principale del libro, ovvero il percorso di autoperfezionamento del gabbiano che impara a volare/vivere attraverso l'abnegazione e il sacrificio, è stata letta da diverse generazioni secondo diverse prospettive ideologiche, dal cattolicesimo al pensiero positivo, l'anarchismo cristiano e la New Age. Bach disse che la storia era ispirata da un pilota acrobatico di nome John H. "Johnny" Livingston (Cedar Falls, Iowa, 30 novembre 1897 - 30 giugno 1974), particolarmente attivo nel periodo fra gli anni venti e trenta.


Jonathan è un gabbiano diverso dagli altri: il suo desiderio non è mangiare, ma imparare a volare in modo perfetto. Per questo è rimproverato dai suoi genitori ed escluso dagli altri componenti del suo stormo, lo Stormo Buonappetito, in quanto nessuno capisce la sua passione per il volo, dal momento che volare è considerato soltanto come una comodità per procurarsi il cibo. Nonostante la buona volontà di Jonathan per cercare di essere un gabbiano come tutti gli altri e di non dedicarsi più alla sua passione, il suo desiderio di trovare il volo perfetto è più forte di lui e in poco tempo riesce a compiere acrobazie incredibili, mai compiute da nessun altro volatile. Ma lo Stormo non lo accetta.
Abbandonato e solo, Jonathan trascorre diversi anni ad esercitarsi nel volo finché un giorno, dopo essere morto (o meglio: dopo essere passato ad un livello successivo dopo la morte), lo raggiungono due gabbiani dalle piume candide, che si librano nell’aria con lui. Questi lo convincono a seguirli nel "Paradiso dei Gabbiani", un luogo dove potrà volare con più facilità, e tutto quello che aveva appreso sarebbe stata una piccolissima parte del cammino verso la perfezione. Jonathan accetta, diventando anche lui bianco e splendente come i suoi nuovi compagni. Per diversi anni rimane nel Paradiso dei Gabbiani sotto la guida di Sullivan, suo maestro ed amico.
È lo stesso Sullivan, insieme ad altri gabbiani, a spiegargli che quello non è il vero Paradiso, ma solo un livello transitorio, dopo il quale si passa più in alto ancora, fino a raggiungere la perfezione e che tutti, prima o poi, saliranno di piano in piano. Quando finalmente raggiunge i livelli del suo maestro, si accorge che - nonostante tutto ciò che ha imparato - il suo corpo gli è ancora d'intralcio. Così chiede al gabbiano più anziano, Ciang, di insegnargli a volare alla velocità del pensiero, a superare il "qui ed ora", cosa che soltanto Ciang sa fare.
Dopo molti tentativi, Jonathan riesce nel suo impegno, ma poche settimane dopo Ciang muore e viene portato in un Paradiso superiore. Egli lascia il posto di maestro a Jonathan: non basta allenarsi al volo perfetto, il vero scopo è arrivare a capire il segreto della bontà e dell'amore, ovvero la cosa più difficile da mettere in pratica. Rimasto senza guida, Jonathan tormentato dal desiderio di insegnare al resto dei gabbiani dello Stormo Buonappetito tutto ciò che ha appreso, confessa a Sullivan i suoi pensieri, ma questo lo convince ad aiutarlo nella sua attività di addestramento dei nuovi arrivati. Qualche tempo dopo, torna il desiderio di andare ad insegnare allo stormo Buonappetito: così saluta Sullivan e parte per ritornare al suo luogo di origine, dove trova un giovane: Fletcher Lynd, che diventa suo alievo .poi torna allo stormo con altri 8 gabbiani .Ma anche se loro non vennero accettati dallo Stormo continuarono ad allenarsi.

Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda



Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, di Fabio Geda






"I trafficanti, be', loro non potevano portarmi all'ospedale o da un dottore, è chiaro. È il più grande problema di essere clandestini, questo: sei illegale anche nella salute."

Leggi l'intervista a Fabio Geda e Enaiatollah Akbari

Una storia vera, il protagonista, colui che in prima persona racconta la sua storia, è un ragazzo afghano che oggi vive a Torino e che, per essere salvato, è stato "abbandonato" dalla madre...
Ma cominciamo dall'inizio, altrimenti la storia può essere incomprensibile. Enaiatollah inizia con il racconto della mattina in cui (ha probabilmente dieci anni) si ritrova da solo in Pakistan dove era stato portato, tra mille difficoltà, dalla madre.
Il padre era stato derubato e ucciso da dei banditi e la cosa aveva provocato nei pashtun, che erano i proprietari delle merci che gli erano state rubate, un desiderio di vendetta o meglio di risarcimento per il danno subito: prendere come schiavo un figlio di quell'uomo era un buon risarcimento. L'etnia a cui Enaiatollah appartiene è quella hazara, disprezzata sia dai talebani che dai pashtun, e sua madre non aveva nessuna possibilità di evitargli quella fine disperata se non portarlo lontano dall'Afghanistan.

Inizia così una terribile odissea per quel bambino che si ritrova solo senza denaro e senza neppure la minima idea di che cosa poter fare, se non la voglia disperata di vivere e di mantenere fede ai tre insegnamenti che la madre, prima di tornare in Afghanista dagli altri figli, gli aveva dato come regola di vita: non fare mai uso di droghe, non usare armi per colpire un altro essere umano, non rubare ma guadagnarsi da vivere lavorando. Regole che un bambino di dieci anni promette di mantenere e che, nonostante le terribili difficoltà che dovrà superare, Enaiatollah osserverà sempre.
Ci sono dei ricordi terribili nella mente di quel ragazzino frutto della violenza che lo ha circondato nel suo Paese e che ha potuto vedere con i suoi occhi, così come quando ha visto uccidere dai talebani il suo maestro colpevole solo di non aver voluto chiudere la scuola. Ma in lui non c'è scoramento quanto desiderio di farcela, di iniziare una nuova vita, facendo i lavori più umili e faticosi, sempre con il sorriso sulle labbra e riconoscenza per coloro che gli davano un giaciglio o un po' di cibo .
Iniziano per lui anche dei rapporti d'amicizia con altri bambini hazara anche loro soli, anche loro costretti a vivere lavorando. Alla ricerca di una situazione migliore eccolo andarsene dal Pakistan e raggiungere in modo rocambolesco l'Iran dove aveva sentito dire esserci più possibilità di lavoro. Fin dall'inizio del libro sentiamo parlare di trafficanti di uomini, persone che si fanno dare dei soldi (moltissimi per quei disperati) per trasportare le persone da uno Stato a un altro. È una realtà dolorosa, ma diffusa e nasce dalle leggi restrittive che impediscono la libera circolazione degli uomini (non delle merci!!) nel mondo. Il risultato è che le persone attraversano ugualmente i confini con molti rischi per la loro vita e dando tutto il denaro che hanno ai trafficanti.

In Iran lo aspetta il pesante lavoro in un cantiere in compagnia di altri muratori tutti clandestini come lui e tutti gentili con lui. Il posto di lavoro diventa la sua casa e la sua prigione perché nessuno usciva da lì per paura di essere preso dalla polizia, facevano i turni solo per andare a prendere da mangiare. Varie vicissitudini e la violenza delle istituzioni, le botte prese dai poliziotti, scene terribili che vedremo ripetersi in tutti i paesi che Enaiatollah dovrà attraversare per cercare uno spazio in cui vivere.
Non bisogna mai dimenticare che quella che viene raccontata in questo libro è una storia vera e che il protagonista è un bambino, e che le prove che affronta sono così drammatiche che solo alcuni riescono a superarle. Dall'Iran alla Turchia, passaggi compiuti con i mezzi più disparati e con il duplice rischio di essere scoperto e rimandato indietro e di perdere la vita. Poi dalla Turchia il difficilissimo passaggio in Grecia: qui la morte è stata davvero vicina e alcuni bambini, compagni di una terribile traversata su di un gommone, la morte l'hanno incontrata.

Se le istituzioni si sono sempre dimostrate ostili, alcune persone hanno invece avuto umanità nei confronti di questo ragazzino educato, spaurito e terribilmente solo. Sono proprio questi pochi, ma fondamentali incontri che hanno permesso a Enaiatollah di arrivare finalmente a Torino, trovare una splendida famiglia che lo ha preso in affido e infine capire che era il momento di fermarsi e di costruirsi un futuro. Colpisce il lettore tutto l'iter per ottenere il permesso di soggiorno come rifugiato politico, il fatto che ad alcuni (parliamo di ragazzi che arrivano dall'inferno dell'Afghanistan!!) sia negato sembra una vera crudeltà nei confronti di chi di crudeltà ne ha subite anche troppe. Ma la storia che Fabio Geda ha felicemente deciso di trascrivere (pochi e corretti i suoi interventi/domande) è fortunatamente a lieto fine. Ora quel bambino ha (forse) 21 anni, è inserito, studia, ha un lavoro, ha amici e una vita. Quanti possono dire la stessa cosa? quanti sono invece spariti nei doppifondi di un camion, congelati sulle montagne che tentavano di attraversare, o ingoiati dal mare? Ci sentiamo sereni per la vittoria di uno o dobbiamo vergognarci per la sconfitta (che significa quasi sempre morte) di tanti?



mercoledì 12 gennaio 2011

Scintille – Una storia di anime vagabonde di Gad Lerner

Scintille – Una storia di anime vagabonde di Gad Lerner



Gilgul, nella Qabbalah ebraica, è il frenetico movimento delle anime vagabonde che ruotano intorno a noi quando la separazione del corpo è dovuta a circostanze ingiuste o dolorose. Tanto violenti possono essere i conflitti che attendono gli spiriti rimasti sulla terra, che la tradizione parla addirittura di “scintille d’anime” prodotte dalla loro frantumazione.
Con questo libro inatteso, di straordinaria intensità e autenticità, Gad Lerner ha deciso di addentrarsi nel suo gilgul familiare, nelle “scintille d’anime” della sua storia personale. Suo padre Moshè reca il trauma della Galizia yiddish spazzata via dalla furia della guerra, e mai davvero trapiantata in Medio Oriente. Dietro di lui si staglia enigmatica la figura di nonna Teta, incompresa e dileggiata perchè estranea alla raffinatezza levantina della Beirut in cui è cresciuta Tali, la moglie di Moshè. Ma anche la Beirut degli anni Quaranta, luogo d’incanto senza pari, si rivela un recinto di beatitudine illusoria.
Vano è il tentativo di rimuovere lo sterminio degli ebrei d’Europa e la Guerra d’indipendenza nella nativa Palestina: anche se taciuti, questi eventi si ripercuotono nella vicenda familiare generando malessere e inconsapevolezza. Le anime vagabonde nel gilgul reclamano di essere perpetuate nel riconoscimento, senza il quale non c’è serenità possibile. Il racconto si snoda da Beirut ad Aleppo, fino alla regione ucraina di Leopoli e Boryslaw, lo shtetl in cui perse la vita gran parte dei Lerner, per concludersi sorprendentemente al confine tra Libano e Israele, presediato dai soldati italiani, dove si riuniscono le molteplici nazionalità dell’autore. Così l’indagine sulla memoria e sui conflitti familiari si rivela occasione per un viaggio nel mondo contemporaneo minato dalla crisi dei nazionalismi, tuttora alla ricerca di convivenza armonica. Un itinerario attraverso nuove e vecchie frontiere che scava nel passato per rivelarne il peso sul presente. Una storia appassionante, felicemente sospesa tra biografia e reportage.

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi.

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi.





In 'Canale Mussolini' (Mondadori), Antonio Pennacchi ripercorre la storia di una famiglia contadina, i Peruzzi, sradicata dalla sua terra d'origine nella bassa padana per andare nell'agro pontino. Su questa terra, bonificata dalla malaria negli anni del fascismo, arrivano molti coloni dal nord, emiliani, veneti e friulani, insieme ai Peruzzi, capeggiati dal carismatico e coraggioso zio Pericle, fascista. E' lui a convincere tutti a scendere dalle pianure padane: i vecchi genitori, i fratelli Iseo, Treves e Turati, le nuore, la nonna, una schiera di sorelle. A spiccare e' pero' sua moglie, l'Armida, bella, generosa, un po' strega. Una donna particolare, sempre circondata dalle sue api che le parlano e in volo danno ammonimenti che non salveranno pero' Armida dalla sorte che l'aspetta. In questa saga familiare emerge anche la figura del nipote prediletto Paride, che sara' pero' causa della sfortuna che travolgera' i Peruzzi.

E venne chiamata Due Cuori di Marlo Morgan

E venne chiamata Due Cuori  di Marlo Morgan

E venne chiamata Due Cuori è un romanzo autobiografico di Marlo Morgan


Marlo Morgan, un medico americano, viene invitata in Australia per ricevere un premio e si ritrova nel deserto in compagnia di un gruppo di aborigeni, la "Vera Gente", che bruciano ogni suo oggetto occidentale e la invitano in un viaggio-avventura attraverso una terra che le appare ostile. Lontana dal mondo civilizzato, senza abiti né denaro, inizia il suo viaggio nell' Outback australiano percorrendo 2000 chilometri in quattro mesi, a piedi nudi, in totale simbiosi con una natura generosa ma implacabile.

Dopo il primo impatto forte fatto di dolore fisico, fame e sete, Marlo comincia a capire la natura del premio: un viaggio spirituale, una vera catarsi che le offre la possibilità di tornare a "vedere" ciò che non ci è più visibile perché, in quanto "Mutanti", siamo troppo lontani dalla Madreterra e da noi stessi.

La straordinaria esperienza di una donna alla scoperta di sé, una professionista affermata che vive in Australia e parte, su invito di una tribù di aborigeni, convinta di partecipare a una cerimonia in suo onore. Si ritrova invece nel cuore di una foresta vasta e minacciosa, dove le viene chiesto di seguire la Vera Gente, come la tribù si definisce, in un viaggio di quattro mesi nell'Outback australiano, a piedi nudi, a volte senz'acqua, cibandosi di quanto offre la terra. Ma tra le privazioni e i sacrifici, impara a vivere in completa armonia con la natura e con se stessa, in un percorso di conoscenza e cambiamento, e scopre, nei tanti giorni in cui la sua fragile vita è minacciata, il vero significato della parola esistere.


Un matrimonio mantovano di Giovanni Nuvoletti

Un matrimonio mantovano di  Giovanni Nuvoletti 



Protagonista del romanzo, originariamente pubblicato dal conte Nuvoletti nel 1972, è Felicita, figlia di un contadino che, nella campagna mantovana di inizio Novecento, è riuscito a elevarsi al rango di "padrone". Forte di una bellezza non comune oltre che di un carattere deciso, Felicita a diciotto anni ha già scelto chi sarà il suo sposo: Lisander, figlio di agricoltori di una casta "superiore", e farà di tutto pur di riuscire nel suo intento. Attorno alla storia di questo matrimonio di fidanzati lombardi, in cui si sente qualche eco manzoniana, Nuvoletti costruisce con nostalgia e precisione un intero mondo, quello della società agraria padana non ancora rovinata dal consumismo e dall'evoluzione dei costumi. Non c'è particolare delle usanze o del comportamento della comunità agraria che non sia ricordato: i rapporti tra le classi sociali, le feste, la passione per l'opera lirica, la fedeltà alle istituzioni, il rituale fidanzamento e delle nozze... Un universo di sentimenti, tradizioni, passioni ormai perduto che in queste pagine l'autore fa rivivere con straordinaria nitidezza.

Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Il Gattopardo di  Giuseppe Tomasi di Lampedusa




Il Gattopardo è un romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958.
L'autore trasse ispirazione da vicende della sua antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del Risorgimento e noto anche per le sue ricerche astronomiche e per l'osservatorio astronomico da lui realizzato. Per il tema trattato è spesso considerato un romanzo storico, benché non ne soddisfi tutti i canoni.
Scritto tra la fine del 1954 e il 1957, fu presentato all'inizio agli editori Einaudi e Mondadori, che ne rifiutarono la pubblicazione (il testo fu letto da Elio Vittorini che successivamente sembra si fosse rammaricato dell'errore), avvenuta poi dopo la morte dell'autore da Feltrinelli con la prefazione di Giorgio Bassani, che aveva ricevuto il manoscritto da Elena Croce. Nel 1959 ricevette il Premio Strega, nel 1963 Luchino Visconti lo tradusse in un film omonimo.
Nel 1967 venne anche tratta un'opera musicale di Angelo Musco, con libretto di Luigi Squarzina.
Il titolo del romanzo ha l'origine nello stemma di famiglia dei Tomasi[1] ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»

Trama

Il racconto inizia con il ritrovamento del cadavere di un soldato nel giardino di casa Salina, la casa gentilizia del Principe Fabrizio Salina, dove abitava con i sette figli e la moglie Maria Stella. Don Fabrizio era un personaggio particolare perché la sua vita era caratterizzata da continui pensieri d'amore e di morte, erano solite le sue scappatelle con le amanti alle quali la moglie reagiva con delle crisi isteriche. Egli è testimone del lento decadere in quel periodo del ceto dell'aristocrazia di cui è rappresentante. Infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, si afferma una nuova classe, quella dei borghesi, che il principe come tutti gli aristocratici disprezza. Il nipote di don Fabrizio, Tancredi, pur combattendo nelle file garibaldine cerca di rassicurare lo zio sul fatto che alla fine le cose andranno a loro vantaggio. Tancredi inoltre aveva sempre mostrato interesse verso la figlia del principe, Concetta, che ricambiava i suoi sentimenti. Il principe e la sua famiglia trascorrono un po' di tempo nella loro residenza estiva a Donnafugata; lì il nuovo sindaco è Calogero Sedara, un uomo di modeste origini, un borghese. Non appena Tancredi vede Angelica, la figlia del sindaco, si innamora perdutamente di lei. La ragazza è però una borghese, e non ha perciò i modi degli aristocratici, per questo Concetta trova quasi ripugnante il suo comportamento. Angelica però ammalia tutti con la sua bellezza, tanto che Tancredi finirà per sposarla, attratto oltre che dalla bellezza anche dal suo denaro. Arriva il momento di votare per un importante plebiscito il cui esito decreterà o no l'annessione della Sicilia al regno italico, a quanti chiedano al principe un parere su cosa votare, il principe affranto dice di essere favorevole a questa entrata. I voti del plebiscito alla fine vengono comunque truccati dal sindaco Sedara, si arriva perciò all'annessione. Dopo questo un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley offre a don Fabrizio la carica di senatore del Regno d'Italia ma il principe rifiuta l'incarico in quanto egli si sente un vero e proprio aristocratico e non vuole sottomettersi alla caduta del suo tempo. Il principe ora conduce una vita desolata fino a quando muore in una stanza d'albergo, dimenticato da tutti, mentre torna da Napoli dove si era recato per delle visite mediche. Rimarranno solo le figlie del principe, ormai rassegnate ad una vita sfavorevole.
Il significato dell'opera

L'autore compie all'interno dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco. Nel dialogo con Chevalley, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia, hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia, appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso. Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare se stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani.
In questa chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura.
Romanzo storico o no?
La vicenda descritta nel Gattopardo può a prima vista far pensare che si tratti di un romanzo storico. Tomasi ha certamente tenuto presente una tradizione narrativa siciliana: la novella Libertà di Giovanni Verga, I Viceré di Federico De Roberto, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello ispirata al fallimento risorgimentale, drammaticamente avvertito proprio in Sicilia, dove erano vive speranze di un profondo rinnovamento. Ma mentre De Roberto, che fra i tre citati è, per questa tematica, il più significativo, indaga le motivazioni del fallimento con una complessa rappresentazione delle opposte forze in gioco, Tomasi presenta la vicenda risorgimentale attraverso il machiavellismo della classe dirigente, che in extremis si mette al servizio dei garibaldini e dei piemontesi, convinta che fosse il modo migliore perché tutto restasse com'era. Questa rappresentazione è naturalmente ristretta, per la prospettiva da cui è descritta; restano fuori dal romanzo molti eventi importanti: solo per fare un esempio, la rivolta dei contadini di Bronte, stroncata nel sangue da Nino Bixio (oggetto invece della novella di Verga).
Da questo punto di vista quindi le mancanze de Il Gattopardo come romanzo storico del Risorgimento in Sicilia sono evidenti. Osservava Mario Alicata: «Una cosa è cercare di comprendere come e perché si affermò nel processo storico risorgimentale una determinata soluzione politica, cioè la direzione di determinate forze politiche e sociali, un'altra cosa è credere, o far finta di credere, che ciò sia stato una sorta di presa in giro condotta dai furbi (dai potenti di ieri e di sempre) ai danni degli sciocchi (coloro che si illudono che qualche cosa di nuovo possa accadere non solo sotto il sole di Sicilia ma sotto il sole tout court)». Il valore de Il Gattopardo va ricercato dunque al di fuori della prospettiva del romanzo storico? La faccenda è ovviamente più complicata di come poteva apparire ai primi lettori dell'opera, se il principe stesso negava di aver voluto scrivere un romanzo storico (semmai un testo intessuto di memoria e di memorie), nella seconda edizione de Il romanzo storico, invece Lukacs riconduce Il Gattopardo al canone proprio del genere. Di recente Vittorio Spinazzola, in un importante lavoro degli anni novanta, Il romanzo antistorico, attribuisce alla triade formata da I Viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani di Pirandello, ed il romanzo di Tomasi di Lampedusa, la fondazione di un nuovo atteggiamento del romanzo rispetto alla storia; non più l'ottimismo di una concezione storicista e teleologica dell'avvenire dell'uomo (ancora presente in Italia nelle grandi cattedrali di Manzoni e Nievo), ma la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive, e che la "macchina del mondo" non è votata a provvedere alla felicità dell'uomo. Il romanzo antistorico è il deposito di questa concezione non trionfalistica della storia, nei tre testi citati il corso della storia genera nuovi torti e nuovi dolori, invece di lenire i vecchi. Malgrado la posizione nuova di Spinazzola, che rilegge in modo intelligente la questione, il problema resta aperto, e la critica non ha ancora trovato una soluzione condivisa su questo tema.
Sterilità e morte
Il modulo narrativo si discosta molto dai canoni del romanzo storico: il romanzo è suddiviso in blocchi, con una sequenza di episodi che, pur facendo capo ad un personaggio principale, sono dotati ciascuno di una propria autonomia. Il fallimento risorgimentale descritto, poi, non è un esempio di uno scarto tra speranze e realtà nella storia degli uomini, ma sembra l'esempio di una norma costante delle vicende umane, destinate inesorabilmente al fallimento: gli uomini, anche re Ferdinando o Garibaldi, possono solo illudersi di influire sul torrente delle sorti che invece fluisce per conto suo, in un'altra vallata.
La negazione della storia, la sterilità dell'agire umano, è uno dei motivi più ricorrenti e significativi del libro; in questa prospettiva di remota lontananza dalla fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive", il Risorgimento può ben diventare una rumorosa e romantica commedia e Marx un "ebreuccio tedesco", di cui al protagonista sfugge il nome, e la Sicilia, più che una realtà che storicamente si è fatta attraverso secoli di storia resta una categoria astratta, una immutabile ed eterna metafisica "sicilianità" che coincide con una distaccata e decadente indifferenza, unita a un erroneo senso di superiorità dei siciliani verso i loro conquistatori.
Nella descrizione del fallimento risorgimentale, secondo alcuni, si può intravedere un'altra riconferma della legge e degli uomini: il fallimento resistenziale che, negli anni in cui scriveva, Tomasi poteva constatare.
Correlato a questo è il tema del fluire del tempo, della decadenza e della morte (che richiamano Proust e Mann) esemplificato nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che sarà sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l'opera: la descrizione del ballo, il capitolo - secondo alcuni critici il punto più alto del romanzo - della morte di don Fabrizio, la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sulle loro cose.
Si può dire che fra la tradizione del romanzo storico, siciliana ed europea, di fine Ottocento e Il Gattopardo è passato il decadentismo con le sue stanchezze, le sue sfiducie, la sua contemplazione della morte; l'opera di Tomasi inoltre cadeva in un momento di ripiegamento dei recenti ideali della società italiana e di quella letteratura che si era sforzata di dare voce artistica a quegli ideali.


http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/alta_voce/archivio_2004/eventi/2004_02_03_gattopardo/
Riduzione radiofonica del libro di Rai Radio 3

http://it.wikipedia.org/wiki/Il_Gattopardo_(romanzo)
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Tomasi_di_Lampedusa

Una sposa conveniente, di Elsa Chabrol

Una sposa conveniente, di Elsa Chabrol




Nel paese di Pouligeac, abitato da 9 anime in tutto (e tutti over 70) gli abitanti sono disperati, perchè il giovane Pierrot detto il Piccinino (47 anni suonati, un marcantonio alto un metro e ottantacinque per novantasette chili di bonomia) dopo la morte dell’amata madre Paulette ha deciso che vuole cambiare aria. Vuole partire, trovare una donna e metter su famiglia.

Una tragedia che rischia di sconvolgere l’esistenza di tutti (soprattutto perchè Pierrot è l’unico a possedere un’automobile ‘e soprattutto, a essere in condizione di guidarla’). Il paesino è talmente piccolo che bisogna fare sedici chilometri solo per avere uno yogurt, e poi Pierrot è insostituibile, perchè ‘passa le giornate a riparare di tutto, installare di tutto, il solo della sua generazione ad essere rimasto lì’.

I vecchietti non si perdono d’animo: la soluzione è trovargli una donna che venga ad abitare a Pouligeac. 

A 101 anni, 1 mese e 4 giorni, Juliette è la più anziana di Pouligeac, paesino di 9 abitanti tra le montagne delle Cevenne. Certa che ogni giorno sia l'ultimo, osserva (e giudica) dal balcone di casa quel che succede. E quando Pierrot, giovane factotum del villaggio, a soli 47 anni decide di trovare moglie altrove, si mette a cercare su internet, insieme agli altri vecchi, "una sposa conveniente". Il libro d'esordio di Elsa Chabrol, regista di documentari, è una commedia lieve, poetica e divertente che diventa un inno alla vita e alla solidarietà. Perché ha scelto di ambientare la vicenda in un minuscolo paese di montagna? "Mia madre è corsa, mio papà delle Cevenne. Da piccola ho vissuto in villaggi abbandonati dove i vecchi vivevano isolati, in totale solitudine. E cercavano di aggregarsi a modo loro". È stato difficile immedesimarsi in un'ultracentenaria? "No, perché ho girato parecchi documentari sulla terza e la quarta età. È uno shock che i vecchi siano derisi e disprezzati dalla società. Eppure la vecchiaia appartiene solo al corpo. I sogni restano intatti. A 90 anni ti può ancora battere il cuore per il principe azzurro". Cosa spinge secondo lei gli anziani del villaggio di Pouligeac alla solidarietà? "Secondo un'inchiesta che ho letto anni fa, al di sotto di un certo numero di abitanti per metro quadrato scompaiono i riflessi di solidarietà e vita comunitaria. L'isolamento genera isolamento. Si accende la televisione e si chiude a chiave la porta. Il vicino diventa straniero. A Pouligeac è la necessità a obbligare i sopravvissuti a spegnere il video, immaginare stratagemmi comuni e ribellarsi. Solo così possono condividere nuove avventure. Hanno bisogno l'uno dell'altro, capiscono che si sono sempre amati". - Elsa Chabrol, La sposa conveniente, Frassinelli, 19 euro

Furore di John Steinbeck

Furore di John Steinbeck


Furore è un romanzo dello scrittore statunitense John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura del 1962, pubblicato nel 1939 a New York e considerato il suo capolavoro.
Molti ritengono Furore il romanzo simbolo della grande depressione americana degli anni trenta. È considerato un'opera a sostegno della politica del New Deal di Roosevelt.



La vicenda narra la storia della famiglia Joad, che costretta dalla siccità e dalla miseria, causata anche dalle manovre speculative delle banche, deve abbandonare l'Oklahoma per tentare la fortuna all'Ovest. Costoro intraprendono a bordo di un autocarro un lungo viaggio verso la California, dopo aver letto un volantino di ricerca lavoro.
A compiere il viaggio sono tre generazioni delle quali la madre, che è la vera anima del gruppo familiare, cerca positivamente di diffondere su tutti la serenità e quando il figlio Al le chiede, all'inizio del viaggio:
« "Mamma non hai dei brutti presentimenti? Non ti fa paura, andare in un posto che non conosci?"
Gli occhi della mamma si fecero pensosi ma dolci.
"Paura? Un poco. Ma poco. Non voglio pensare, preferisco aspettare... Quel che ci sarà da fare lo farò..."


la sua risposta è calma e rassicurante.
Fanno parte del gruppo familiare la giovane sposa Rosa Tea che è in attesa di un bambino, Tom, da poco uscito dal carcere per aver compiuto un omicidio preterintenzionale, un ex-predicatore conosciuto da Tom ed ora aggregato alla famiglia di nome Casy spesso assorto in pensieri filosofici sulla condizione umana, il babbo, lo zio John e la vecchia nonna.
Durante il lungo ed estenuante viaggio incontrano altre famiglie di profughi e ogni tanto degli accampamenti e giungono finalmente alle soglie della California.
« E finalmente apparvero all'orizzonte le guglie frastagliate del muro occidentale dell'Arizona... e quando venne il giorno, i Joad videro finalmente, nella sottostante pianura, il fiume Colorado... Il babbo esclamò: "Eccoci! Ci siamo! Siamo in California!". Tutti si voltarono indietro per guardare i maestosi bastioni dell'Arizona che si lasciavano alle spalle. »
Ma la felicità di essere giunti durerà poco perché la California non è il paese che avevano sognato ma un luogo, almeno per loro, di miseria.
Intanto la sorte sembra accanirsi contro i Joad: Tom, per una tragica fatalità, uccide durante uno sciopero il poliziotto che aveva ucciso Casy ed è costretto a fuggire, arriva una inondazione proprio quando finalmente avevano trovato un lavoro con un discreto salario e alla fine Rosa Tea partorisce un bimbo morto. Il romanzo termina con una immagine di coraggio e solidarietà di Rosa Tea.

http://it.wikipedia.org/wiki/John_Steinbeck


Palline di Pane di Paola Mastrocola


Palline di Pane di Paola Mastrocola







Agosto. Emilia, fotografa quarantenne, parte per le vacanze in Sardegna. Un marito in India per lavoro, una bambina di sei mesi che patisce il mare, un figlio undicenne che, fortemente determinato a isolarsi dall'"umanità coetanea" per rivendicare il diritto a una felicità tutta sua, passa il tempo a pescare e fabbricarsi le esche impastando palline di pane. L'unico aiuto potrebbe essere la nuova baby-sitter: ma è un'enigmatica ragazza portoghese che non sa una parola di italiano e si porta dietro un'inverosimile macchina da cucire a pedali. La vacanza inizia e dà vita a una serie di situazioni buffe e di reazioni imprevedibili, che s'insinuano tra le chiacchiere in spiaggia e scardinano certezze e opinioni comuni e conformiste...

http://it.wikipedia.org/wiki/Paola_Mastrocola

mercoledì 5 gennaio 2011

La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca di Enrico Deaglio

La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca di Enrico Deaglio





Lei, cose avrebbe fatto al mio posto?”

Inizia con questa domanda il libro intitolatoLa banalità del bene, scritto da  Enrico Deaglio  un testo interamente dedicato alla vita e alla storia di Giorgio Perlasca. La risposta, in realtà, non è così immediata e semplice come si possa credere. Giorgio Perlasca, però, non ci ha pensato su due volte: ha deciso di dare una mano ai numerosi ebrei ungheresi che durante la Seconda Guerra Mondiale rischiavano di essere deportati nei campi di concentramento nazisti e di essere uccisi. Ne ha salvati più di 5.000 e la sua scelta, il suo desiderio di aiutare, come racconta Enrico Deaglio nel libro inchiesta che gli ha dedicato, è mossa da ideali ben precisi:


“Dunque, signor Perlasca: perché lo fece?”
“Perché non potevo sopportare la vista di persone marchiate come degli animali. Perché non potevo sopportare di veder uccidere dei bambini. Credo che sia stato questo, non credo di essere stato in eroe. Alla fin dei conti, io ho avuto un’occasione e l’ho usata. Da noi c’è un proverbio, che dice: l’occasione fa l’uomo ladro. Ebbene, di me ha fatto un’altra cosa.”

Nel primo capitolo dei libro Enrico Deaglio ricorda i fatti salienti della vita diGiorgio Perlasca, dal periodo in cui a Budapest, da commerciante di carne, fu accusato di frode e imprigionato insieme ad altri italiani, a quando, quasi cinquant’anni dopo la fine della guerra, finalmente Giorgio Perlascaha guadagnato il riconoscimento dovuto.

Si, perché dopo la fine della guerra, nonostante egli stesso abbia raccontato la sua storia alle autorità italiane, nessuno si è impegnato per portarla alla luce: è soltanto grazie ad alcune donne ebree che lui ha salvato dalla deportazione, che oggi tutti noi possiamo conoscere la sua storia e dare il giusto riconoscimento al suo impegno.

I capitoli del libro si susseguono e la storia di Giorgio Perlasca viene fuori tra spunti dell'intervista che lui ha concesso a Enrico Deaglio e tra gli appunti ripresi dal suo diario di appunti. Attraverso il racconto di Perlasca,Deaglio ricostruisce anche uno dei periodi più brutti e duri del secolo scorso segnato da intolleranza e mancato riconoscimento dei diritti degli uomini.



Giorgio Perlasca

1910 - 1992


Giorgio Perlasca
Giorgio Perlasca nasce a Como il 31 gennaio 1910. Negli anni Venti aderisce con entusiasmo al fascismo, in particolar modo alla versione dannunziana e nazionalista. Parte poi come volontario, prima per l’Africa Orientale e poi per la Spagna, dove combatte al fianco del generale Franco.
Tornato in Italia al termine della guerra civile spagnola, prende le distanze dalle scelte di Mussolini di allearsi con la Germania e di promulgare le leggi razziali nel 1938. Non per questo, tuttavia, diventa un antifascista.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, è inviato come incaricato d’affari nei paesi dell’Est con lo status diplomatico. L’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) lo coglie a Budapest. Rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana ed è quindi internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici.
Nell'ottobre del 1944 iniziano le persecuzioni sistematiche, la violenza e le deportazioni dei cittadini di religione ebraica. Perlasca, con uno stratagemma, sfugge al controllo sugli internati e si nasconde prima presso conoscenti, poi nell'Ambasciata spagnola. Qui inizia a collaborare con l'Ambasciatore Sanz Briz, il quale ha iniziato a rilasciare i salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica. A fine novembre Sanz Briz deve lasciare l’Ungheria per non riconoscere il nuovo governo filo nazista di Szalasi. Perlasca si presenta come sostituto dell'Ambasciatore spagnolo e regge pressoché da solo l'Ambasciata, con il rischio di essere scoperto dai nazisti e pressato dalla necessità reperire i viveri per gli ebrei rifugiati nelle sue "case protette" lungo il Danubio. Riesce ad evitare la loro deportazione fino all'arrivo dell'Armata Rossa, salvandone ben 5218.
Fatto prigioniero dai sovietici e liberato dopo pochi giorni, rientra finalmente in Italia, dove conduce una vita normalissima, chiuso nella sua riservatezza. Non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà, finché negli anni Ottanta alcune ebree ungheresi si mettono alla ricerca del diplomatico spagnolo che durante la seconda guerra mondiale le aveva salvate. Attraverso il giornale della comunità ebraica a Budapest, lo rintracciano a Padova. In questo modo la sua vicenda esce dal silenzio.
Giorgio Perlasca muore il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova. Sulla sua lapide, a fianco delle date, ha voluto un'unica iscrizione “Giusto tra le Nazioni”, in ebraico.
La sua storia è stata raccontata da Enrico Deaglio nel libro La banalità del bene (Feltrinelli, Milano, 1991) da cui è stato tratto il film per la TV Perlasca. Un eroe italiano



http://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Deaglio

http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Perlasca

http://www.giorgioperlasca.it/default.aspx

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=113
Testimonianza di Perlasca






















martedì 4 gennaio 2011

La luna e i falò di Cesare Pavese

La luna e i falò di  Cesare Pavese

La luna e i falò è l'ultimo romanzo dello scrittore Cesare Pavese, scritto in pochi mesi nel 1949 e pubblicato nella primavera del 1950. Il romanzo presenta elementi autobiografici dello scrittore piemontese ed è quello che conclude la sua carriera di narratore.
Il romanzo è dedicato all'ultima donna della vita di Pavese, Constance Dowling.


La storia, raccontata in prima persona, non concerne solo il protagonista, di cui viene detto solo il soprannome Anguilla, ma tanti altri personaggi che entrano in relazione con lui, in un paese della valle del Belbo che non viene mai nominato ma che è Santo Stefano Belbo.
Il romanzo è un misto tra passato e presente e proprio per questo non è narrato nei minimi dettagli, ma vengono raccontati eventi che non sono (apparentemente) collegati tra loro, se non dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista.
In trentadue capitoli il lettore si perde nei ricordi, spesso tristi, che Anguilla rivive con l'amico Nuto e capisce quanto sia importante per ognuno avere un paese, una famiglia, un punto di riferimento che leghi alla vita; di questo Anguilla si rende conto quando, lontano dalla sua valle, viene richiamato alla sua patria non da un amico o dalla patria stessa, bensì da quel senso di appartenenza al suo paese che lui si porta dentro insieme a tanta nostalgia.
La storia inizia quando Anguilla, tornato emigrante dall'America dopo la Liberazione, ritorna con il pensiero al momento in cui neonato era stato abbandonato sugli scalini del Duomo di Alba e quindi portato all'ospedale di Alessandria, dove era stato adottato da Padrino e la Virgilia che per questa adozione ricevevano una mesata di cinque lire.
Quando, successivamente alla morte di Virgilia e a una grandinata che distrusse la piccola vigna, Padrino decise di vendere il casotto dove vivevano, Anguilla si trasferì alla fattoria della Mora, dove iniziò a lavorare per la prima volta; c'era benessere in quel casale insieme a sor Matteo e alle tre figlie: Irene, Silvia e Santa (la più piccola e bella). Pur essendosi affezionato a loro, tornato dall'America, preferisce non rivedere quel luogo.
Per prima cosa, invece, Anguilla va a vedere la casa del Padrino, rimasta uguale, e conosce il nuovo proprietario, il Valino, e suo figlio, Cinto. Quest'ultimo gli fa ricordare i tempi in cui era ragazzo, quando Nuto, più grande di lui, trattandolo sin da allora da amico, cercava di insegnargli tutto ciò che sapeva; ecco: Anguilla vuole essere per Cinto ciò che Nuto era stato per lui.
Trascorrono molto tempo insieme, nasce anche un'amicizia tra loro e Cinto sa di potersi fidare di Anguilla e proprio per questo quando il Valino uccide la nonna e la zia, dà fuoco alla casa e si suicida, il ragazzo va subito da Anguilla, che insieme a Nuto cerca di tranquillizzarlo.
Anguilla sa che Irene e Silvia, come tanti altri, sono morte, ed entrambe male, ma gli rimane oscura la sorte di Santa, che Nuto gli rivela solo alla fine: di notevole bellezza sin da quando era piccola, la donna, inquieta, era diventata spia prima dei tedeschi e dopo dei partigiani, poi ancora dei tedeschi e dei repubblichini; proprio allora era stata giustiziata, ancora in giovane età.
È con la scoperta di questa triste vicenda che si conclude il romanzo, ma sicuramente non il viaggio di Anguilla. Da ragazzo pensava che il paese in cui viveva fosse tutto il mondo, ma ora che, viaggiando, ha capito come veramente è fatto il mondo, si rende conto che il proprio paese è in fondo la propria famiglia, «un paese vuol dire non essere mai soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.» Come lui stesso dice: «un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.»
Anguilla però aveva sentito il bisogno di tornare, perché quegli stessi vigneti, alberi di fichi e valli non li ha trovati da nessun'altra parte; appena giunge alla valle del Salto si accorge che nulla è cambiato: ci sono gli stessi suoni, gli stessi odori e gli stessi sapori che il protagonista si è sempre portato dentro. È vero che lui ritrova la stessa vita di un tempo, ma sicuramente non le stesse persone: ritrova solo Nuto, il suo più caro amico e mentore, a cui rivela tutti i suoi pensieri e con il quale si perde nei ricordi passati, a volte anche allegri e spensierati, spesso tristi. Alla ricerca, sempre, anche inconsapevolmente, della consapevolezza: se non si può aggiustare il mondo - come vorrebbe la coscienza sociale di Nuto, che infine si scopre propria anche del protagonista -, almeno conoscere: gli archetipi, i ritmi, la terra, gli uomini e le loro storie, più spesso disperate, sempre inquiete.




Personaggi

Anguilla
Il protagonista del racconto, di cui non è specificato il nome e di cui si conosce solo il soprannome Anguilla, è un trovatello che al momento della narrazione ha circa quarant'anni. Consapevole di esserlo, sa che la campagna e i luoghi dove ha passato tutta la giovinezza non gli appartengono, benché l'unica cosa che abbia imparato è la vita nei campi. Così comincia a sentire, da quando rimane a fissare il cielo aperto, che deve viaggiare e conoscere il resto del mondo («volevo andare lontano […] ma che sia lontano, che nessuno del mio paese ci sia stato»). Dovunque vada però – Genova, diverse città in America e di nuovo la campagna – non si trova a suo agio, sentendosi solo e perduto e vedendo la sua vita un fallimento («capii che quelle stelle non erano le mie […] Valeva la pena essere venuto? Dove potevo ancora andare? Buttarmi dal molo?»).
Nuto
Amico intimo del protagonista, deciso, scaltro e sapiente. È per il protagonista un ideale di vita, una persona che non smette mai di stimare per i suoi comportamenti, le cose che sapeva, il suo modo di parlare e di suonare. D'altra parte Nuto sta volentieri con l'amico, anche se non sempre lo capisce, in particolare quando comincia il travagliato periodo dei viaggi incessanti.
Cinto
È un ragazzino con una malformazione alle gambe, la quale gli impedisce di muoversi agilmente e di condurre una vita al pari dei suoi coetanei. Egli impietosisce il protagonista, il quale cerca di interessarlo con i suoi racconti e di essergli amico, riconoscendo in Cinto la sua fanciullezza. Il protagonista però non prende il posto del padre quando il ragazzo rimane orfano, affidandolo a Nuto e promettendogli che l'avrebbe portato con sé quando sarebbe stato più grande.
Irene, Silvia e Santina
Sono le tre padroncine del protagonista; sono tutte tre bellissime e contese da molti giovani, partecipano frequentemente alla vita mondana del paese, appartenendo anche ad un ceto di grado elevato. Irene però viene condannata ad un infelice matrimonio, dopo essere stata smagrita dal tifo; Silvia muore per un aborto segreto e Santina creduta spia delle camicie nere viene giustiziata da alcuni brescianini.








Nel significato del titolo La luna e i falò vi è il chiaro riferimento mitico al ciclo delle stagioni che affianca tutte le vicende del destino dell'uomo. La luna, che ha qui funzione di simbolo, serve a scandire il ritmo dell'opera e ad instaurare il rapporto tra la terra e il cielo.
Il racconto è strutturato su due piani narrativi, quello dell'infanzia, con le sue scoperte e il desiderio di avventura e quello della maturità e della delusione. Ai bagliori dei falò, che venivano accesi di notte durante le feste contadine e riflettendosi nel cielo rappresentavano per il bambino un momento magico e di scoperta, si contrappongono altri falò che comportano per il protagonista la perdita delle illusioni e la decisione di lasciare il paese. Uno di questi falò è reso dall'autore in senso metaforico con l'episodio dell'incendio che il padre di Cinto appicca al "casotto di Gaminella" distruggendolo insieme al passato, mentre un altro fa riferimento a quanto accaduto a Santa. Ed è con le parole di Nuto che fanno riferimento alla fine della giovane che il romanzo si chiude:
« [...] gli chiesi se Santa era sepolta lì. - Non c'è caso che un giorno la trovino? Hanno trovato quei due... Nuto s'era seduto sul muretto e mi guardò col suo occhio testardo. Scosse il capo. - No, Santa no, - disse, - non la trovano. Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. Faceva ancora gola a troppi. Ci pensò Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bastò. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L'altr'anno c'era ancora il segno, come il letto di un falò. »

Il profeta di Khalil Gibran

Il profeta  di Khalil Gibran


Almustafa è un profeta che si trova su una terra lontana da quella dov'è nato, finalmente vede la nave che lo riporterà nella sua terra arrivare e il suo cuore si riempie di gioia, tuttavia, non può andarsene senza dolore, visto che la gente della terra dove si trova e affezionata a lui e lui si è affezionato a loro ed in particolare ad l'indovina Almitra . La gente vedendo la nave arrivare va al molo e chiede ad Almustafa di lasciare loro degli insegnamenti affinchè resti qualcosa del profeta che gli aiuti a rendere meno doloroso il distacco, e allora alcuni di loro gli chiedono di parlargli dell'amore dei figli dell'amicizia e tanto altro.

Uno dei brani più famoso e quello dedicato ai figli

E una donna che reggeva un bambino al seno disse, Parlaci dei Figli E lui disse: i vostri figli non sono vostri. sono i figli della brama che la Vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi ma non da Voi. E sebbene siano con voi non i appartengono. Potete donare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri. Poichè hanno pensieri propri Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime. Giacchè le loro anime albergano nella casa del domani, che voi non potete visitare neppure in sogno. Potete tentare d'essere come loro , ma non di renderli come voi siete. Giacchè la vita non indietreggia ne s'attara sul passato. Voi siete gli archi dal quali i figli vostri, viventi frecce, sono scoccati innanzi. L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito, e vi tende con la sua potenza affinchè le sue frecce possano andare veloci e lontano Sia Gioioso il vostro tendervi nella mano dell'Arciere; Poichè se ama il dardo sfrecciante, cos' ama l'arco che saldo rimane
La recensione del libro in nero è mia se volete leggere una recensione più esplicativa provate a leggere questa

http://it.wikipedia.org/wiki/Il_profeta_(libro)


Questo libro è un punto di unione una mescolanza tra la cultura araba e la cultura occidentale dei primi decenni del 1900, La cultura religiosa di Gibran era cristiano-maronita, anche se si nota che molti dei suoi pensieri sono molto vicini al modo di essere del sufismo é Amo molto questo libro sebbene io non sia credente, nel senso che non credo nelle religioni, è un libro che avvicina alla spiritualità e ai misteri della vita, è un libro adatto a tutti. Un bellissimo regalo anche per una persona non più giovane.

NOTE BIBLIOGRAFICHE
Gibran del Profeta disse

Io non sto tentando di scrivere poesia. Sto invece provando di esprimere dei pensieri. Voglio che il ritmo e le parole siano giusti in modo che non li si noti, ma penetrino come acqua nella stoffa; e il pensiero sia ciò che vi si imprime...Dopo la pubblicazione del opera l'autore scriveva ancora a May
Questo libro è solo un piccolo frammento di ciò che ho visto e di ciò che vedo. E' solo un piccolo frammento delle cose che vorrebbero uscire dai cuori silenziosi degli uomini e dalle loro anime....
Egli sintetizzo così lo scopo del suo librò
Tutto il profeta dice solo un unica cosa" Sei molto molto più grande di quanto tu non sappia - e Tutto è bene"
"Io sono un creatore di simboli" si dice che Gibran l'avesse fatto notare ad un suo amico e compagno di studi.
Benchè derivato da molte fonti il simbolismo di Gibran è suo proprio Usava simboli solo per trasmettere con maggior forza possibile i suoi messaggi
a proposito di "Almustafa" disse " In arabo significa il prescelto.e il benamato, anche più propriamente qualcosa che sta in mezzo ai due termini..."
Che dire di questo libro oltre quello che ho scritto? è uno dei libri più venduto al mondo regolarmente la copie che leggo per approfondire le regalo ad amici e parenti.


Se volete approfondire sulla vita di Gibran
Khalil Gibran

http://it.wikipedia.org/wiki/Khalil_Gibran

http://leb.net/gibran/Bsharri2.html 

Camera con vista di Edward Morgan Forster

Camera con vista di Edward Morgan Forster

Lucy Honeychurch, timorata signorina della buona borghesia inglese, durante un viaggio in Italia conosce George, un giovane schietto e anticonformista. Il loro incontro infrange tutte le regole del perbenismo imperante , ma il richiamo alla vita e all'amore è per Lucy troppo forte, perchè la morale del suo tempo possa averne ragione. Quando la vacanza finisce torna in Inghilterra e si fidanza con Cecilio, ma il ricordo di George sarà sempre presente, e.... 

Casa Howard di Edward Morgan Forster

Casa Howard

La storia si snoda intorno alle vicende delle sorelle Schlegel e dei loro rapporti con la benestante famiglia dei Wilcox.
Le loro personali, umane vicende e anche il volto sociale e culturale dell'Inghilterra dei primi '900 sono le protagoniste di uno dei romanzi più celebri di Forster, che osserva, attento e silenzioso, gli uomini del suo tempo.

Passaggio in India di Edward Morgan Forster

Passaggio in India  (1924)

Anni '20. Adela Quested, giovane donna inglese, si reca in India con la signora Moore per sposarsi con il figlio di lei, Ronny Heaslop. Le due donne scoprono la bellezza del nuovo mondo grazie al dottor Aziz, un indiano desideroso di integrarsi nella comunità britannica. Ma durante una gita succede qualcosa di strano tra Adela e Aziz e sorgono le grandi problemtiche su cui si basa il romanzo: la difficoltà dei rapporti tra occidentali e indiani, il razzismo sempre pronto a ricomparire dietro le buone maniere, le problematiche del colonialismo.

Maurice di Edward Morgan Forster

 Maurice

Maurice è forse il capolavoro di Forster e certamente il suo romanzo più intimo e commovente, uno squisito esercizio privato di scrittura della verità. Tra le pieghe della società vittoriana, Forster insegue affettuosamente la storia d'amore di Maurice e Clive, suo compagno di college, i tormenti di una passione complice e innominabile, che se per Clive è destinata a seppellirsi nella "normalità", per Maurice è il calvario che conduce a nuova vita. È forse il delicato ricamo d'epoca, su cui si staglia la tormentosa affermazione della diversità, che ha spinto un regista come James Ivory a cimentarsi, dopo Camera con vista, anche con questo prezioso "libro-scandalo".




http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Morgan_Forster

Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop di Fannie Flagg

Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop









di Fannie Flagg

Pomodori verdi fritti al Caffè di Whistle Stop di Fannie Flagg

Il libro narra due storie parallele. Quella moderna di Evelyn e quella del caffé di Whistle Stop e dei suoi frequentatori. Evelyn, una donna infelice e con molti complessi, incontra in un ospizio dove era andata per visitare la suocera una vecchietta originale,  Virginia con la quale instaura un rapporto di amicizia. e che le racconta una vecchia storia: la storia del Caffè di Whistle Stop Le proprietarie sono due donne Ruth e Idgie, dolce la prima, audace la seconda, ma entrambe tenaci nelle avversità della vita.
Virginia inizia a raccontarle la storia di Idgie, Ruth e di tutti coloro che hanno transitato e gestito il caffé. , gli intrighi e i misteri degli anni Venti ritornano pian piano alla memoria della donna anziana fino all'epoca moderna
Il Caffè di Whistle Stop è frequentato da sognatori stravaganti, banditi romantici e vittime della Grande Depressione. Il racconto, triste ma ricco di esempi, ha un effetto rigenerante su Evelyn, la quale si sente spronata dall’esempio di quelle due donne coraggiose
inoltre, il libro riesce a introdurre il tema dei rapporti omosessuali tra donne, legati all'amicizia e all'amore profondi Nel racconto è esplicito che tra Ruth e Idgie esiste un rapporto d'amore omosessuale che viene descritto in modo molto delicato.
Successivamente ne è stato tratto un film, con molte differenze tra il racconto ed il libro, per non guastarvi la
sorpresa del finale non accennerò qui a null'altro se non a qualche differenza posso solo consigliare di leggere prima il li bro e poi guardare il film anche se le differenze sopratutto nell'epilogo del finale è completamente diverso, la forza dell'interpretazione dei personaggi di Ruth e Idgie lo rendono un film davvero emozionante

Il personaggio "Artis O. Peavey", particolarmente apprezzato da chi aveva letto il romanzo, non appare nel film che ne è stato tratto invece nel libro vengono riservati degli interi capitoli.
Nel romanzo, ogni personaggio importante ha una sua storia passata da raccontare, ma molte di tali storie sono state eliminate nella versione cinematografica.
La versione cinematografica ha infine pesantemente oscurato la storia d'amore lesbica fra le due protagoniste, al punto che molti spettatori che non avevano letto il libro non si sono neppure resi conto della sua presenza: il film fa apparire Idgie e Ruth semplicemente come amiche del cuore.
L'edizione in DVD del film ha un commento audio in cui il regista riconosce questo fatto, ma sostiene che una scena in cui le due donne giocano con il cioccolato era intesa come una metafora del fare l'amore fra le due.

Il libro parla di molti protagonisti non solamente della storia tra Idgie e Ruth il film invece è centrato quasi esclusivamente sul rapporto di amicizia tra loro due.
Nel libro si alternano i racconti di Ninny alla casa di riposo, gli articoli riportati su "Il giornale della signora Weems", il bollettino settimanale di Whistle Stop ed il racconto da parte dell'autrice di avvenimenti accaduti nella vita dei personaggi. Nel film Il giornale della signora Weems" non viene neppure menzionato
Di contro: nel libro il racconto della storia del caffè di Whistle Stop non segue una linea temporale ma salta avanti ed indietro nel tempo rendendone a volte difficoltoso seguirne la trama, è un libro da leggere con estrema attenzione, mentre il film segue una linea temporale ben definita ed è più facile seguirne la trama.

La ricetta presente nel libro dei pomodori verdi fritti


Ingredienti:
3 cucchiai di grasso di pancetta, farina, 4 pomodori verdi affettati, latte, uova sbattute, sale, pangrattato, pepe.

Preparazione :

Scaldate il grasso in una padella per friggere. Bagnate i pomodori nell'uovo sbattuto, quindi passateli nel pangrattato. Friggeteli fino a quando non saranno coloriti da entrambi i lati e sistemateli su un piatto. Per ciascun cucchiaio di grasso rimasto nella padella, aggiungetene uno di farina e mescolate bene. Quindi versate, sempre mescolando, una tazza di latte tiepido e lasciate cuocere finchè la salsa non si addenserà, senza mai smettere di mescolare. Aggiungete sale e pepe a piacere. Versate sui pomodori e servite bollente. Il meglio che c'è.


per documentarsi
http://it.wikipedia.org/wiki/Fannie_Flagg
http://amicidi.mastertopforum.net/nautilus-e-pomodori-verdi-fritti-vt12565.html