mercoledì 1 settembre 2010

La fine delle buone maniere di Francesca Marciano

















La fine delle buone maniere di Francesca Marciano



La fine delle buone maniere, romanzo di Francesca Marciano edito da Longanesi. Due donne occidentali che non potrebbero essere più diverse partono insieme per l'Afghanistan con un compito arduo: fotografare i volti delle donne che si ribellano - a volte anche con il suicidio - ai matrimoni combinati. La prima, Maria Galante, torna così alla carriera di fotogiornalista, che aveva lasciato in un momento di fragilità per rifugiarsi nella sicurezza di uno studio dove preferisce fotografare cibo anziché persone. L'altra, Imo Glass, brillante inviata di guerra inglese, è una seducente 'citoyenne du monde' che parla quattro lingue e sembra non aver paura di nulla. Ad attenderle a Kabul c'è Hanif, interprete riservato ma pieno di risorse che le accompagnerà in una città insidiosa e martoriata, popolata da uomini che di mestiere fanno la guerra: spie, mercanti di armi, bodyguard dai modi brutali, ed ex mujahidin dai modi viceversa squisiti ma dalle mani ancora sporche di sangue. Quando però Maria riesce a puntare l'obiettivo sulle donne di un villaggio sperduto tra le montagne dell'Hindukush - fantasmi velati senza voce né diritti - si trova davanti a una scelta etica e morale dalla quale trarrà nuova consapevolezza. Francesca Marciano ci regala un racconto di prepotente impatto visivo e insieme di intensa introspezione, una storia che parla di vulnerabilità e di violenza, che emoziona e fa riflettere su cosa accade davvero tra uomini e donne quando cultura, nazionalità e religione non contano più nulla e vale solo la legge del più forte.Maria, una fotoreporter che a seguito di una delusione sentimentale ed una altrettanto profonda crisi interiore , si dedica a fotografare cibi " di qualità" per riviste del settore piuttosto che dedicarsi alla propria passione , la fotografia in zone " calde" del pianeta.Le portate di " alta cucina " offrono a Maria la possibilità di non abbandonare del l'obiettivo e, nello stesso tempo, la proteggono in uno spazio chiuso, ovattato che, se non dà brividi, sicuramente preziose sicurezze. Arriva però l'occasione tentatrice, una famosa giornalista freelance inglese, Imo Glass, la vuole assolutamente al suo fianco in Afghanistan per realizzare un reportage importante quanto delicato: riuscire a fotografare la disperazione delle ragazze afghane che, sopprattutto nelle zone rurali, preferiscono darsi alle fiamme piuttosto che andare in sposa a uomini tre volte più grandi di loro, scelti dai padri e come i padri violenti ed impietosi.


Maria, dopo un corso intensivo di una settimana nei dintorni di Londra dove viene addestrata a vivere situazioni estreme, a conoscere ed usare le armi, a approntare i primi soccorsi in caso di scontri a fuoco partirà con IMO alla volta di Kabul. Imo è una donna completamente diversa da Maria, sudamericana adottata da una coppia di inglesi, poliglotta, appassionata di battaglie civili sembra invincibile.

Maria è piena di dibbi e di domande, Imo sembra avere tutte le risposte. Kabul è la coprotagonista del libro: il cielo che si apre fino a diventare turchese che contrasta con il grigio della polvere delle strade, dei palazzi crivellati dai colpi , e poi la gente, sempre indaffarata, sempre di corsa. Hanif farà loro da interprete e da guida in questa impresa tutt'altro che facile. Le donne, per legge coranica, non possono essere rappresentate e, dunque, meno che mai fotografate e così quando giungono nel paesino dove Zuleya, una diciassettene si è data alle fiamme, Maria scopre che non la può fotografare e, comnunque anche lei è perplessa davanti all'ostilità delle donne; quele donne che vivono un'altra realtà cui sono avvezze da secoli. E qui Maria si porrà due domannde fondamentali: tutto questo accanimento per le fotografie servirà solo per un buon articolo a diffusione mondiale ma, a queste donne, sarà utile? E se a un afghano che lavora a Londra capitasse di sfogliare un giornale e riconoscerne qualcuna cosà accadrà loro?

Da un lato dunque i dubbi, legittimi , di Maria, dall'altro l'opinione di Imo " Siamo venute fin qui perchè vogliamo portare nel mio paese non solo la loro voce ma anche il loro volto, perchè non siano solo dei fantasmi ma delle persone vere. ..Se le donne afghane resteranno nascoste ancora dietro il velo saranno sempre e solo fantasmi ed i fantasmi non esistono....."



Un passo del libro su cui riflettere


Malik dice che voi occidentali vi sentite superiori perchè le donne da voi non portano il velo, ma non avete ancora capito che le nostre donne scelgono di coprirsi perchè nella nostra società, l'aspetto fisico di una donna non deve interferire con il suo posto nella società. .....

Nella nostra cultura una donna invecchiando acquista saggezza e valore, mentre per voi le donne brutte e vecchie non valgono nulla, sono da buttare....

Dice che anche per voi il valore di una donna è solo nella sua apparenza, mentre per noi sta unicamente nella sua anima e nel suo cuore. Secondo il Corano la bellezza di una donna appartiene al suo sposo ed è un dono riservato solo a lui, mentre in Occidente è una merce di scambio che va messa in mostra, come al mercato. ...



Kabul è triste anche per la pesantissima discriminazione femminile. Con l'eccezione di qualche migliaio di donne appartenenti ad una ristretta fascia sociale di Kabul, tutte le donne afghane portano il burqa. La favola della liberazione delle donne afghane dall'infamia del burqa, grazie all'intervento della armate occidentali, è pura volgarità e arroganza. Gino Strada sostiene che il burqa non è l'indice più significativo della subordinazione della donna afghana al potere patriarcale. E aggiunge che è sbagliato accanirsi contro un abbigliamento che è radicatissimo nella cultura popolare. Ciò di cui le donne afghane hanno anzitutto bisogno è l'istruzione e il lavoro: esse sono analfabete e disoccupate in percentuali che superano il 90%.
fonte della notizia 

http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/wlgo/viaggio.htm



nel libro La fine delle buone maniere scritto da Francesca Marciano

Dove racconta di Maria Galante una fotografa che si trova a Kabul per un reportage,
per fotografare i volti delle donne che si ribellano - a volte anche con il suicidio - ai matrimoni combinati ad un certo punto , Maria nota che gli uomini a Kabul sono molto belli, tanto che pure lei pensa che dovrebbero mettere il Burqa.

Nel libro ci sono diversi spunti di riflessione sul Burqa
Dove le donne sono fantasmi velati senza voce né diritti. Ma come dice Gino Strada
ora le priorità sono altre, lo strumento attraverso il quale una donna può inziare ad emanciparsi è l'istruzione, e attraverso la conoscenza potrà fare valere i suoi diritti
e fare sentire la propria voce.

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